PERSONALITÀ MULTIPLA

Quattroruote - Dossier Fuoristrada & Suv
01/12/2017
Un percorso off-road sulle montagne del Nevada e poi qualche giro di pista con la Suv più potente del momento.

Che una Grand Cherokee se la cavi egregiamente in fuoristrada non lo scopro adesso. Chiamandosi come si chiama, Jeep appunto, non mi aspetto niente di meno quando si mettono le ruote su pietraie, tratturi, mulattiere. Così, mentre m'infilo tra le gole de! Red Rock Canyon, in Nevada, a due passi da Las Vegas, so già che la giornata sarà impegnativa: non mi fanno fare 15 ore di volo per portarmi su uno sterratino... E infatti. La Rocky Gap road della strada ha soltanto il nome. Sono appena 8,3 miglia: secondo Google Maps, basterebbero 29 minuti per percorrerla, ma per ritrovare gli agi di un corso asfaltato mi serviranno più di tre ore. La Trailhawk che guido è una 3.6 litri V6: è un peccato che in Italia il Pentastar aspirato a benzina non sia a listino, anche se qui nessuno, tranne forse qualche raffinato cultore della meccanica fine, lo comprerebbe... Comunque. La Gran Cherokee mi accompagna fuori da Las Vegas lasciandomi intravedere la possibilità di viaggiare per giorni: se fosse per me, attraverserei gli States da una parte all'altra così, cullato dai classici del rock, che non fanno nessuno sforzo a coprire il sommesso ronzio del V6. Invece il trasferimento dura poco. Un'oretta dopo mi trovo all'inizio di uno sterrato, che sulle prime parrebbe alla portata di una qualsiasi suwettina un minimo rialzata. E mi faccio distrarre dal paesaggio, dall'immenso fascino di un territorio pressoché incontaminato. Intanto, la Trailhawk fa il suo lavoro: s'arrampica, supera dossi, si disimpegna su tornanti, s'esibisce in numeri da equilibrista su due ruote e sfida la gravità su pendenze laterali ardite. Chi guida, compreso me, non s'immagina che più avanti, dopo metà percorso e una pausa caffè (americano, lungo, riscaldato a legna), le cose si faranno decisamente più complesse. Il tracciato smette di essere tale per diventare un'indefinita accozzaglia d'inamovibili massi di varie dimensioni, tra i quali muoversi con la circospezione di un gatto. Davanti a me, un collega di chissà quale nazione perde il controllo nel superare un dislivello e scivola contro un albero: parafango acciaccato. Resto concentrato, do retta agli istruttori, che da fuori mi suggeriscono dove mettere le ruote: obbedisco, eseguo, assecondo. E mi fido della Gran Cherokee in modalità Rock. Qualche macchina dietro, qualcuno pare in difficoltà e rallenta il gruppo, ma sembrano tutti tranquilli. Ancora una manciata di miglia, poi in lontananza > una strada asfaltata: il peggio, o il meglio secondo i punti di vista, è passato. E d'un tratto mi ricordo cosa sono venuto a fare qui...

NO REPLACEMENT FOR REPLACEMENT

Lo Spring Mountain Motor Resort è proprio dietro le montagne che ho appena attraversato, a due passi dal confine con la California. Un'immensa pista che può assumere più di 50 configurazioni differenti, alcune con i nomi dei piloti: Senna, Villeneuve, Andretti, Fangio, i più grandi. La Grand Cherokee Trackhawk mi attende sul circuito Est: 2,1 miglia, 3.380 metri. E li che si suppone io possa scaricare i suoi 700 (settecento) cavalli. Ora, si potrebbe discettare per ore, giorni, forse addirittura mesi, volendo, sui misteriosi meccanismi mentali che hanno spinto qualcuno a immaginare una Gran Cherokee da 700 cavalli. Forse servirebbe una full immersion nella cultura automobilistica americana per comprendere, apprezzare, riconoscere il valore di un V8 a benzina di 6.2 litri con monoblocco di ghisa, due valvole per cilindro e distribuzione ad aste e bilancieri. E supercharger, il compressore volumetrico, sarebbe. Una meccanica anni 70 e incontestabilmente a stelle e strisce. "No replacement for displacement", non c'è alternativa alla cilindrata, da queste parti non è solo un modo di dire: è un dogma. La Trackhawk, con la sua relativa semplicità meccanica, risponde ai bisogni primari dell'anima degli appassionati, serve a placare le ambizioni dello spirito. Con buona pace di chi sta cercando di convincermi che ha una capacità di traino di 2.949 kg. Non voglio neppure pensare alle zavorre quando spalanco l'acceleratore. Mi figuro piuttosto lo sforzo immenso del cambio (otto marce automatico), dei semiassi, dell'albero di trasmissione, m'immedesimo in questo tumulto di cavalli e coppia, uno tsunami che supera di slancio le due tonnellate e mezzo. Tutto succede maledettamente in fretta: ho gli organi interni in balia delle leggi della fisica. In curva non respiro: sono troppo impegnato a tenere questo mostro tra i cordoli e non oso distrarmi neppure per una frazione di secondo per guardare a che velocità sto andando. Altissima a giudicare da come mi devo attaccare ai freni, Brembo, italiani come i PZero "tre stagioni” montati sui cerchi alleggeriti opzionali. La Trackhawk scodinzola, poi ruggisce, s'acquatta e si rilancia, ed è un crescendo imperioso. Lo dovrebbero scrivere sul parabrezza: attenzione, questa Suv può creare dipendenza. Scarica PDF