EXTINCTION

TopGear
01/02/2020

Quando arriverà l’Apocalisse, state tranquilli, la Jeep® Wayout terrà tutto sotto controllo…

 

L'Apocalisse sta arrivando. Sicuro. Chiedete ai catastrofisti su internet.

C'è chi immagina morti viventi, attacchi virali, invasioni aliene, meteoriti e lavaggi del cervello di massa perpetrati dai reality show. Crollerà l'economia, si disintegrerà la società, esploderà la tecnologia...

Qualcuno trascorrerà i suoi ultimi giorni in amene attività (tipo droga, sesso e grandi abbuffate), altri si butteranno sulla religione. E tutti andranno alla ricerca di improbabili kit di sopravvivenza (qualcuno l'ha già fatto, per la verità). Ci strapperemo di mano le istruzioni sulla costruzione di filtri fai da te e ci ingegneremo per finanziare nuovi governi che ci salveranno... Ma nel mezzo ci sarà qualcosa di meno spaventoso. Un luogo dove saremo autosufficienti. In attesa della fine del mondo, ovvio. Il che fa sorgere spontanea una domanda: qual è il veicolo più idoneo che ci metta in salvo, possibilmente in fretta? Ho la risposta: la Jeep® Wayout.

Come queste minacce di catastrofe, non è reale (non ancora...). Vi spiego: il mostro che vedete in queste foto è una Jeep® Gladiator, ma le modifiche apportate dal produttore la trasformano tecnicamente in una concept car, una vetrina di design per il Jeep® Moab Easter Safari.

La Wayout è quindi un'ipotetica Jeep® del futuro, più che una Jeep® di produzione. Nessuno ha mai avuto il permesso di prendere una concept della Jeep® e farvi un giro. Fino a oggi. Non sono preoccupato per l'hardware: la Wayout è una Gladiator equipaggiata con differenziali autobloccanti, ridotte e trazione integrale, un V6 Pentastar a benzina di 3,6 litri, 280 e passa cavalli e un otto marce automatico. A rendere tutto più divertente ci pensano le gomme da fango e sterrato che avvolgono i cerchi da 37 pollici, le sospensioni rialzate di circa 5 cm e i dettagli da camper. Ci sono anche tante minime modifiche in stile Overland perfette per affrontare la fine del mondo. Con la Wayout simulerò un cataclisma, per capire se ci si possa davvero lasciare alle spalle la città e farsi un bel campeggio tra zombie e mutanti. La partenza è Detroit. La metropoli ideale per la nostra simulazione, a giudicare dai film e dalle leggende che girano su questa città dello Stato del Michigan sul confine col Canada. Ci sono ancora molti stabilimenti di auto abbandonati nella periferia: qui Springsteen comporrebbe una canzone davvero triste. Sembra di sentire i motori dell'economia fermi a riposare, mentre più in centro c'è frenesia: i rumori industriali echeggiano tra le vetrate brillanti dei grattacieli che pullulano di società anonime. Non è spaventosa come i media vogliono farci credere. Detroit ha visto l'economia girare, è stata testimone di crescita economica e investimenti. I quartieri in cui prima rischiavi di prendere il tetano anche solo guardandoli adesso sono luoghi residenziali. L'area dell'Eastern Market è stata ristrutturata e impreziosita con alcuni dei graffiti più incredibili che abbia mai ammirato. La Wayout è massiccia e io mi sento un idiota a passare con una fuoristrada scintillante che non ha mai visto una pozzanghera davanti ai nightclub. Sembra un'auto fin troppo finta, anche se si comporta bene. Il problema è che alcuni degli attuali van 4x4 seguono con troppa convinzione il detto 'più è meglio', abbondando in fari, binari sul tetto (e in qualunque altro posto), pannelli solari, un autentico lavabo da cucina...

Nella mia testa ho sempre associato il camping a qualcosa di più essenziale e spartano, piantare la tenda e srotolare un sacco a pelo più che riallestire in un bosco l'intero contenuto di casa. Campeggiare nella natura è diverso dal convertire a 12 volt la vita moderna. La Wayout ha taniche di benzina di scorta attaccate sulle alette posteriori, in un punto ovvio e facilmente accessibile, ha un letto sul tetto che si raggiunge usando una scaletta e ha anche una tenda semplice ma impermeabile sul tetto. Da un lato c'è un tendone che avvolge l'auto per 270 gradi, un pratico vano portaoggetti che scorre da sotto il letto (dotato di serratura), un verricello Warn in grado di trainare 5500 kg e i binari sul tetto a cui fissare qualunque oggetto. Ci sono anche gli anelli per legare la corda in caso di traino, rock slider sottili ma di metallo, un accessibile compressore ad aria montato sull'aletta per gonfiare le gomme e collegare gli attrezzi. Ci sono anche tante luci a basso voltaggio per tutta la Jeep®. Insomma, questa Wayout è piena di elementi pratici. C'è anche lo snorkel, e ogni auto diventa più bella con lo snorkel. Mi piace persino la carrozzeria verde scuro/sabbia con le finiture ultraresistenti. Dentro, sui sedili di pelle color cuoio è incisa una cartina del deserto del Moab e la plancia è piena di adesivi dei luoghi selvaggi preferiti dal progettista. Il resto è standard. Ma, anche se non è stata modificata in maniera imbarazzante, questa Wayout è fuori luogo in città. E così, senza una preparazione particolare, il mattino dopo mi lascio alle spalle la metropoli e mi dirigo verso una zona selvaggia. A nord. La meta è la penisola superiore dei Michigan. Questo primo tratto del viaggio è semplice. Le strade non sono state bloccate da orde di persone che cercano rifugio da un immaginario ground zero, così procedo senza intoppi lungo la 175 superando Flint, Saginaw, Gaylord, Wolverine (sì, c'è un posto chiamato Wolverine) e Cheboygan. Guido per parecchie ore, finché arrivo al confine della penisola superiore, marcato dal Mackinac Bridge. Pago il pedaggio, mi godo una stupenda vista sul canale che divide il lago Huron dal lago Michigan e m'immergo nella natura. Ci sono alberi ovunque. Qua e là c'è una fattoria, ma le preoccupazioni della città sono lontane anni luce da qui. I paesini hanno nomi fantastici.

Gli esseri umani ci sono. E respirano un'aria che sa di pini e fertilizzanti. Qui ci perdiamo nella Hiawatha National Forest, dopo aver fatto rifornimento in una stupenda stazione di servizio dove prendi nota dei litri e poi li comunichi al cassiere. E lui si fida. Compriamo l'adesivo orv (off road vehicle) che permette di guidare su molti sentieri e tracciati. Girovaghiamo per ore. Eh sì, l'America è grande. Arriviamo a Paradise, un paesino sulla Whitefish Bay, una baia del Lago Superiore, il più grande d'America. È bello, coi suoi prefabbricati uno addossato all'altro lungo la via principale, con i casotti per la pesca che si credono case, con i suoi edifici industriali sotto il cielo plumbeo. La gente è meravigliosa e trae una specie di orgoglio da questo suo semi isolamento.

L'orgoglio che trovi nella gente di campagna in tutto il mondo. Magari non sanno preparare un caffè al ginseng, ma, in caso di apocalisse (o semplicemente di un duro inverno), meglio questa gente che un barista. Dopo tutta la strada che abbiamo fatto oggi, però, adesso dobbiamo trovare un posto dove campeggiare. Per arrivarci dobbiamo percorrere strade rurali, molte sterrate. Qui, il cellulare spesso non prende, il navigatore si blocca e devo ricorrere alle care vecchie cartine: peccato che la mia capacità di leggerle si sia atrofizzata con gli anni. La Wayout è imponente. All'improvviso è nel suo elemento: procede sicura nei boschi lungo tracciati che sono poco più di sentieri sbiaditi nel fango e nell'erba. Avanza tra i tronchi, facendosi strada nel bosco, passando decisa tra la sabbia e la terra morbida usando il differenziale e sfoggiando le sue doti nel fuoristrada per più di un'ora. I miei compagni sono tranquilli, perché io sembro padrone della situazione. Eppure non sanno nulla di offroad. Ho costruito un castello di carta le cui fondamenta sono la mia falsa sicurezza. La mia finta freddezza lascia il posto alla meraviglia, quando arriviamo alla spiaggia: abbiamo trovato la perfezione. Preparo il campo per la notte, mentre il sole tramonta nel Lago Superiore. Spiego la tenda, srotolo il tendalino e apro il cocktail bar (uno degli extra della Wayout, che fa più scena che altro). Mi lavo nel lago, mi verso un drink e sospiro. C'è un faro in lontananza, soffia una brezza leggera. È un panorama così perfetto che quasi non ci credi, trasmette una grande pace. Ecco che cosa ottieni quando scappi dalla città e ti immergi nella natura: niente rumori, niente telefono, niente di digitale. L'auto forse è un po' esagerata per il compito che ci siamo prefissati oggi, ma sa fare il suo lavoro. Il materasso di memory foam è morbido, la luce ambientale è soft. E starmene steso a guardare il lago avvolto nell'oscurità è rilassante. Dormi meglio, se non hai la testa piena di impegni. II mattino dopo scopro che se la voglia di viaggiare fosse una malattia la si curerebbe con i tafani e le zanzare. I tafani sono i peggiori, sono grossi come passerotti e ti staccano pezzi di carne con le loro mandibole. Anche solo sentirli ronzare ti fa venire voglia di impacchettare tutto, partire per un motel e sopportare l'arredamento cheap della (presunta) civiltà. Invece continuiamo il nostro viaggio, trascorrendo i due giorni successivi a vagare per la penisola, facendo una puntata al Pictured Rocks National Lakeshore e a Munising, attraversando la foresta fino a Rapid River e Ensign. Incontriamo vari tratti asfaltati, ma cerchiamo di tenerci il più possibile sulle strade di campagna. C'è un senso di liberazione tangibile, la foresta si spande attorno ai laghi come olio. 'Cucino' il pranzo mettendo un panino disgustoso del fast food in una scatola di stagno fissata sul collettore di scarico: quando arriveremo a destinazione, sarà bello caldo e avrà un retrogusto affumicato di idrocarburi non combusti. Dormo ovunque mi venga voglia di farlo. Mi godo la mia totale “incontattabilita'”. Fin troppo presto dobbiamo tornare neI mondo reale. Il Mackinac Bridge è una separazione fisica tra natura e civiltà, un punto di non ritorno. Con un senso di rimpianto, volto le spalle a questi paesaggi selvaggi. La verità è che starsene da soli in mezzo alla foresta per un po' fa bene, guerra globale termonucleare o no. Le auto come la Wayout sono strumenti gloriosi, con capacità superiori di almeno il 50 per cento rispetto a quelle di cui il classico avventuriero estremo avrebbe bisogno. La Jeep® è l'incarnazione della filosofia americana dell'andare ovunque, come la Land Rover lo è per gli inglesi.

Entrambi questi marchi ti permettono di dimenticare la civiltà e di goderti momenti di silenzio e di pace nella natura incontaminata, con un certo... confort. E soprattutto ti permettono di essere libero e indipendente, ti garantiscono destrezza e autosufficienza. Vi do un solo consiglio: non aspettate che il mondo finisca, andate e godetevelo adesso. È troppo bello per aspettare.

 

  1. a) L’interno della Wayout unisce le plastiche resistenti della Jeep® tradizionale con elementi anni Settanta
  2. b) Se andate nei boschi, meglio scegliere i cerchi da 37 con le gomme da fango
  3. c) “Strade? Datemi una mappa!”
  4. d) La Jeep® con il mantello dell’invisibilità. Efficace, vero?

 

“LA WAYOUT È NEL SUO ELEMENTO: PROCEDE SICURA NEI BOSCHI E SUGLI STERRATI”

 

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